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Il Mercato dell'olio di oliva

 

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Il mercato dell'olio di oliva

In Italia si consuma più olio di oliva di quanto se ne produca (mediamente intorno alle 530mila tonnellate) per cui si ricorre massicciamente alle importazioni. Spagna, Grecia, Tunisia e in minore misura Turchia e Marocco sono nostri affezionato fornitori. Circa quattrocentomila tonnellate di prodotto straniero entrano nei confini nazionali in parte per alimentare il mercato interno, in parte per essere riavviate all'esportazione: spesso, in entrambe i casi, riciclate come oli italiani. C'è di che essere disorientati e la definizione delle categorie rnerceologiche di per sé non aiuta molto. In commercio troviamo praticamente solo l'olio di oliva e l'olio extravergine di oliva. Il primo è il risultato della raffinazione di un olio vergine lampante, dunque di un iter industriale che interviene con cure chimico-fisiche su un olio non commestibile deacidificandolo (neutralizzando cioè l'acidità libera troppo alta), deodorizzandolo e decolorandolo. Il risultato finale è un olio organoletticamente neutro, composto essenzialmente da materia grassa a cui si aggiunge una quantità discrezionale di vergine per restituirgli una minima identità. Sotto l'ombrello della seconda qualificazione troviamo prodotti e prezzi disparati. Di sicuro c'è il fatto che un extravergine è il risultato della spremitura fisico-meccanica dei frutto dell'oliva quindi, quanto meno la genuinità dovrebbe essere garantita. il condizionale è d'obbligo perché l'olio extravergine d'oliva non è esente da sofisticazioni (tra le più frequenti ricordiamo la miscelazione fraudolenta con altri oli vegetali, come ad esempio quello di nocciola e la deodorazione degli oli di oliva che per le loro caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche non potrebbero essere classificati come extravergini).

Meno gravi ma sicuramente scorrette sono "le origini illusorie". Ad esempio ci sono aziende che per fare fronte a richieste superiori alla produzione ricorrono ad oli di diversa provenienza per venderli come propri, così come i frantoiani possono acquistare olive in altre regioni dove l'annata è stata magari più abbondante (e i prezzi più ragionevoli) ottenendo un olio che talvolta va a incrementare la produzione dei "tipico". E ancora: grandi multinazionali o più modeste ditte imbottigliatrici vendono blend ossia un assemblaggio opportunamente calibrato di due o più oli reperiti sul mercato nazionale o internazionale con etichette e diciture ambigue o ammiccanti messaggi che arrivano attraverso i media per vantare improbabili origini. Abbiamo così oli che "parlano toscano' e altri che vantando illustri tradizioni familiari ostentano usurpati blasoni. Il made in Italy serve a poco perché consente di fregiarsene a chi lavora olive italiane senza obbligare chi non lo fa a consentire la tracciabilità dei prodotto. La punta avanzata caratterizzante la produzione italiana può essere individuata nelle:

1) denominazioni di origine protetta (DOP), di alta qualità e tipica - legata alla provenienza geografica e varietale,

2) produzioni da agricoltura biologica (Reg. EC 2092/91). In questo caso non possono essere usati concimi chimici  o effettuati trattamenti con diserbanti organofosforici (pesticidi), fumiganti etc… 

Alla fine di questa piccola dissertazione vogliamo però chiarire che stante ciò sopra descritto, c'è una produzione seria e capace, disseminata un pò in tutto lo stivale, che crede e investe in un alto target qualitativo per la quale vale la pena spendere di più.

Quindi l'olio andrebbe acquistato dai produttori che vi informino su tutta la filiera se proveniente da agricoltura biologica o DOP fa fede l’autorizzazione dell’organo di controllo che viene riportata in etichetta; guadagnerete in qualità d’acquisto (giusto rapporto qualità/prezzo) e in ciò che mangiate.

 

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